E X I T I M E
FontanaMIX in Manifattura uno spazio per le nuove musiche
28 settembre – 16 dicembre 2004
Manifattura delle Arti
Laboratori del Dipartimento di Musica e Spettacolo
via Azzo Gardino n. 65 – Bologna
una produzione:
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna:
– Dipartimento di Musica e Spettacolo
– CIMES
Associazione FontanaMIX
in collaborazione con:
Provincia di Bologna – Assessorato alla Cultura
Bologna Festival
Fondazione Isabella Scelsi – Roma
Accademia Filarmonica di Bologna – Studio MELOS
Nel dare vita a FontanaMIX eravamo pienamente coscienti di creare uno spazio vivo per la nuova musica. Con EXITIME questo spazio diventa un luogo, un punto di riferimento concreto. In EXITIME s’intrecciano, uscendo in campo aperto, il fare e il conoscere: la fisica esperienza del suono e la lucida avventura del pensiero.
direzione artistica
Paolo Aralla
Atli Ingolfsson
Francesco La Licata
UNO SPAZIO PER I GIOVANI E PER LA CITTÀ
Chi vuol fare bene l’amore sa che sono necessari competenza, tempo e dedizione, ed è pronto a consacrarli allo scopo. In fondo è così per tutto, ma ci non toglie che ci siano priorità. A parte le funzioni primarie della sopravvivenza – nutrizione, riposo, un riparo dalle intemperie, il sesso puramente procreativo – dopo l’amore il più ricercato tra i generi voluttuari (superflui solo in apparenza) è la musica: non esiste una società dove non se ne faccia, e dove essa non costituisca un piano più elevato rispetto alle faccende e alle noie quotidiane. Oltre a quello estetico la musica ha innumerevoli usi, ma in tutti – dalla ninna nanna al canto di lavoro all’educazione sentimentale alla danza – stabilisce col suo arcano potere un tempo acceso, verticale, che trascende la piattezza dell’esistere automatico. Ogni musica perciò in senso lato (laico) è sacra: cambiano nella storia e tra i popoli le sue forme e i suoi rituali, ma non ne muta la funzione catartica, come mostrano il sufi che nell’estasi del canto entra in comunione con Allah, la menade e la tarantolata che danzano invasate da Dioniso o dal morso del ragno, ma anche i ragazzi che trovano lo sballo in discoteca, e pure i compositori contemporanei che ancora oggi, in una società secolarizzata e in una realtà ampiamente spiegata dalla scienza, cercano l’inaudito.
Il rimpicciolimento del mondo indotto dai moderni mezzi di comunicazione educa tutti all’ascolto delle musiche etniche, un panorama multiforme ed esaltante. In tanto pluralismo è assurdo sacrificare proprio sé stessi. La musica contemporanea è felicemente cosmopolita, secondo un costume lontano che portava nel Quattrocento i polifonisti fiamminghi a colonizzare le corti italiane e nel ‘900 gli americani a studiare composizione a Parigi, ma al tempo stesso non è meno etnica delle altre: la sua comunità è composta per lo più di individui occidentali, colti, siamo noi. Trascurarla è trascurare la propria tradizione. Ancora prima di conoscerla, ci sono due ragioni per non credere che sia, come vuole la pigra voce diffusa, un’aberrazione rispetto all’epoca barocco-classico-romantica. Possibile che un intero secolo non abbia generato un buon compositore dopo Mahler e Puccini? Già la statistica dovrebbe insospettire. Possibile che i compositori, che dedicano la vita alla scrittura perché amano la musica, e quindi per forza la musica preesistente, rinneghino proprio ciò che amano?
La separazione della musica nuova dal grande pubblico è quasi secolare: ha circa la stessa età dell’atonalità. Oddio, rinunciare alle cadenze! Di fatto nella storia dell’umanità ne hanno fatto a meno miliardi di persone. Ma non è solo un fatto linguistico a determinare il distacco dell’ascoltatore medio dalla novità, quanto piuttosto il suo significato in termini di valori. Nel ‘900 gradualmente sono andati smantellandosi i principali sistemi ideologici – religiosi, sociopolitici, scientifici – che reggevano la visione del mondo occidentale, mentre parallelamente la musica metteva in crisi i suoi elementi convenzionali. Riservandosi pari dignità alla tradizione, che tutela i valori conservandoli e tramandandoli, e alla ricerca, che li rinnova attraverso la (ri)scoperta, i compositori contemporanei radicali non sono, nella loro rinuncia ai mezzi codificati e comuni, più esoterici e isolati del Bach dell’Arte della Fuga o del Beethoven degli ultimi quartetti, e rispetto ai difensori della memoria non hanno un senso meno pio della sacralità della conoscenza. Anche se il dibattito sull’argomento è ancora aperto, solo un ostruzionismo terminologico può negare che in qualche modo la musica esprima qualcosa. Non sono concetti, non sono oggetti; pazienza. Il punto è che oltre la tonalità, oltre qualsiasi sistema precostituito, il potere psicotropo della musica può non solo rimanere uguale, ma perfino intensificarsi. Ogni musica poi dà una rappresentazione sui generis del sistema culturale – filosofico, antropologico, sociologico, psicologico, economico – che la produce. Perciò un amante della musica che voglia da essa un’interpretazione attendibile della realtà – corrispondente a ciò che il mondo è oggi in Occidente, non a ciò che era ieri o altrove – deve consacrare competenza, tempo e dedizione a quella contemporanea. Che è anche uno strumento, politico, di lotta contro la mercificazione e banalizzazione industriale dell’ascolto, del pensiero: col suo essere critica offre argomenti all’emancipazione dai meccanismi costrittivi e omologanti (tv, pubblicità) della sempre endemica idiozia.
L’abitudine a una bombardante proposta di ascolti facili può convincere che la musica o fa effetto subito o mai più. Con quest’estetica da colpo di fulmine nessuno leggerebbe un libro e i musei sarebbero deserti. Lo sforzo invece premia, vale la pena compierlo. La musica contemporanea però non è solo un dovere culturale, ma pure una condotta che asseconda il principio del piacere. Tanto che anzi altri doveri può alleggerire: conosciuta, può essere ascoltata lavando i piatti. Così come soprattutto, goduta, è capace di provocare un turbamento che, insediandosi attraverso l’orecchio nel cervello, può da lì far sgorgare le lacrime, palpitare il petto, nonché occasionalmente mobilitare l’intero corpo. Vogliamo dire che la musica contemporanea scuote e sconvolge, non meno che Verdi, Chopin o Vasco Rossi e i Radiohead? Scriverla, suonarla, ascoltarla è un piacere intellettuale – puramente estetico, globalmente umanistico – e fisico, è un’emozione e una commozione, un entusiasmo che può perfino indurre permanenti trasformazioni psicospirituali.
Poiché si ama ciò che si conosce, è necessario stabilire condizioni adatte alla conoscenza. L’Italia purtroppo non vanta un’abitudine di buoni rapporti tra le istituzioni accademiche musicologiche, nell’Università, e quelle di formazione tecnica musicale, i Conservatori, ciò che ovviamente danneggia entrambe. Al fondo c’è un’altra separazione antica, le cui lacune solo lentamente vanno colmandosi. La cultura umanistica ha prescisso per secoli dal sapere musicale, perciò chi da noi non sappia chi è Dante è un ignorante, mentre può definirsi colto pur non sapendo chi è Monteverdi; viceversa i musicisti (orfani originariamente messi in Conservatorio per salvarli dalla miseria) sono stati esentati, al pari di artigiani e circensi, da una degna iniziazione culturale complessiva. Bologna, città universitaria per eccellenza e sede del primo Dams, ospita anche uno dei principali Conservatori della nazione; è quindi naturale che Exitime nasca qui, dalla collaborazione tra il Dipartimento Musica dell’Ateneo e il gruppo FontanaMIX, i cui componenti sono compositori e strumentisti da anni operanti sul territorio ad alto livello. La cooperazione corroborerà l’azione iniziata dal Dams trent’anni fa, integrando ancor più saldamente la musica nel sistema umanistico, e in particolare promuoverà l’unione tra il sapere musicale teorico (estetica, storia, filologia, analisi, critica) e quello pratico (composizione, esecuzione).
Sono due ali ugualmente indispensabili per il volo: le osservazioni musicologiche sono più illuminanti se intrinseche a una prassi, mentre a sua volta la tecnica trascende la mera materialità se si connette alla riflessione. La già effettiva doppia scolarità di tanti giovani, studenti sia universitari sia di Conservatorio, attesta che la cultura italiana è pronta: le istituzioni formative devono seguire. L’organismo che si vuol far volare è la musica nella società del presente, quindi elettivamente la musica contemporanea. Exitime dunque è uno spazio per concerti e insieme uno spazio didattico, dove la musica è coltivata in tutte le fasi, dall’ideazione alla realizzazione alla ricezione critica. Ed Exitime è uno spazio aperto in primo luogo ai giovani, che possono e devono approfittarne per sviluppare godendo una cultura libera e profonda.
Si conviene saggiamente, nelle rassegne di musica contemporanea, includere anche campioni di scrittura più antica: ciò agevola la fruizione – costretta altrimenti, esposta solo a novità, a uno sforzo eccessivo che va a detrimento dell’effettiva ricezione – ma soprattutto, quando le scelte sono oculate, istruttivamente fornisce un contesto adeguato a suoni che sennò, come fin troppo spesso accade, parrebbero gratuiti, privi di senso. Poiché il senso è relazione. La conoscenza della musica successiva d’altronde influenza la conoscenza di quella precedente, anzi modifica la musica stessa, al punto che Webern – per fare l’esempio di un autore emblematico che curiosamente non figura nel presente programma – non solo è recepito differentemente, ma è qualcosa di diverso, dal momento che sono passati il serialismo negli anni ’50 e la seguente reazione al serialismo. Se perciò la presenza in cartellone di musica già nota è funzionale come riferimento per la comprensione di quella nuova, questa a sua volta ridefinisce inesauribilmente quella passata, svelandone gli eventuali caratteri fecondi e anticipatori. Uno degli aspetti qualificanti della serie di concerti proposta da Exitime dunque è il confronto con grandi maestri riconosciuti del Novecento storico, come (in ordine cronologico per data di nascita) Debussy, Schönberg, Bartók, Stravinskij e Berg. Non meno proficuo risulta pure, ormai che il nuovo secolo e millennio è ampiamente inoltrato, il confronto con autori maggiori della generazione, largamente storicizzata, dei nati negli anni venti – Bruno Maderna, György Ligeti, Luciano Berio, Franco Donatoni – che hanno assunto posizioni di primo piano dopo il secondo dopoguerra. Giacinto Scelsi, Terry Riley e Salvatore Sciarrino fanno caso a sé: l’uno perché, pur nato nel 1905, ha vissuto come «mondano eremita» (Heinz-Klaus Metzger), distante dalle piazze della musica contemporanea, fino a tarda età, per esplodere poi clamorosamente dagli anni ’80; l’altro perché appartenente al movimento, in parte coesteso con la ricerca europea ma in parte anche indipendente, del minimalismo americano; l’ultimo infine per la precocità del suo esordio a fine anni ’60, che lo pone come un maestro anche rispetto a compositori oggi cinquantenni.
Vengono poi autori come Heinz Holliger, Wolfgang Rihm, Magnus Lindberg, Horatio Radulescu, Adriano Guarnieri e Gilberto Cappelli, che scrivono con autorevolezza e con una poetica riconoscibile da tempo, ma che in parte perché ancora attivi, in parte perché la ricezione critica necessita del dovuto tempo per assestarsi, è più opportuno assegnare al presente. Si giunge così a coloro che l’eredità di quel passato appena elencato, remoto o prossimo ma comunque tuttora vivissimo, vanno elaborando in modi inediti oggi: Francesco Carluccio, Gabriele Manca, Paolo Perezzani, Paolo Aralla, Atli Ingolfsson, Francesco La Licata, e dopo di loro i giovanissimi, tra i quali gli otto di area bolognese le cui partiture in prima esecuzione coronano degnamente il concerto finale. Il programma della manifestazione dunque si configura come un’eccellente lezione di storia della musica del ‘900, dalle radici nel secolo precedente fino ai frutti nell’oggi. Ma l’intenzione didattica non si limita al solo punto di vista storico: nella creazione musicale sussistono altre precedenze e relazioni, oltre a quella cronologico-culturale nel lungo periodo, che Exitime ha cura di illustrare con vividezza, mostrando concretamente in diretta tutte le varie fasi della produzione di una musica nuova (unico spazio precluso rimane la mente, il tavolo, del compositore durante l’atto creativo, ma si è cercato di aprire anche quello). Non è certo una prerogativa contemporanea la collaborazione tra compositore ed esecutore al fine di integrare nella scrittura solo il possibile e tutto il meglio di una prassi strumentale, che non è mai del tutto standardizzata bensì sempre in parte anche individualmente caratterizzata; Giacinto Scelsi era uso a siffatte collaborazioni, dove il confine tra la farina del sacco suo e di quello dell’amico strumentista non era nettamente precisabile, come per esempio nel caso del violoncellismo di Frances-Marie Uitti. Questo tipo di rapporto reciprocamente istruttivo infatti si fonda spesso su una ricerca pionieristica, compiuta da parte del musicista sulle possibilità del suo strumento: lo attesta per esempio la quantità di prime esecuzioni che affollano i concerti di Antonio Politano e Haesung Choe, specialisti rispettivamente di flauti dolci prototipi e di violino elettrico (volentieri in associazione col mezzo elettronico-informatico). Infine non si può immaginare che le scoperte dei virtuosi e le novità tecnico-interpretative concepite dei compositori possano diffondersi, entrando a far parte della pratica comune, senza un’azione didattica apposita: il seminario di Frances-Marie Uitti sulla scrittura per archi di Scelsi e il laboratorio dedicato alla musica da camera del ‘900 svolgono appunto in Exitime questo compito fondamentale.
Stefano Lombardi Vallauri
Arnold Schönberg
moderna? Non si può neanche dire tutto. Oggi forse preme evidenziare nuovamente – su imbeccata del compositore dodecafonico siciliano Federico Incardona – soltanto un ultimo aspetto della personalità artistica di Schönberg: l’imitanda intransigenza etica, che al di là della legittimità di qualunque scelta stilistica ingiunge al compositore odierno la responsabilità di non rinnegare mai la «necessità interiore».
La produzione pianistica occupa nel corpus schönberghiano complessivo un posto di primo piano. Qui si sono compiuti passi fatidici: l’op. 11 è la prima interamente atonale, l’aforistica op. 19 porta la dissoluzione del sistema nella massima prossimità all’ammutolimento, l’op. 23 è la ripresa dopo anni di silenzio e l’inaugurazione del «metodo per comporre con dodici note», l’op. 25 è la prima basata su un’unica serie. Non bisogna però, per l’eterogenità di queste tecniche, sopravvalutare le dissomiglianze effettive all’ascolto, che sono piuttosto generate da altri fattori; nell’op. 25 per esempio salta all’orecchio l’adozione delle forme codificate della suite barocca molto più che una condotta diastematica qualitativamente alternativa all’atonalità. Se mai desta rispettosa perplessità il fatto che Schönberg abbia sentito il bisogno di plagiare forme del passato proprio nel momento in cui – nel Walzer dell’op. 23 (l’unico movimento infatti non titolato dalla nuda indicazione agogica) e nell’op. 25 – dava avvio alla dodecafonia. Ma le forme antiche sono comunque stravolte, talché la regressione è solo parziale, e anzi il ricorso a stilemi preesistenti, senza configurare già un neoclassicismo – poiché siamo ben lontani dal pastiche – conferisce uno spessore in più, una specie di terza dimensione di autocoscienza storica.
Arnold Schönberg
Integrale dell’opera pianistica
Mauro Castellano, pianoforte
Drei Klavierstücke, op. postuma (1894)
Andantino – Andantino grazioso – Presto
Drei Klavierstücke, op. 11 (1909)
Mässig – Mässige Achtel – Bewegt
Sechs kleine Klavierstücke, op. 19 (1911)
Leicht, zart – Langsam – Sehr langsame Viertel –
Rasch, aber leicht – Etwas rasch – Sehr langsam
Fünf Klavierstücke, op. 23 (1923)
Sehr langsam – Sehr rasch – Langsam – Schwungvoll – Walzer
Suite für Klavier, op. 25 (1923)
Präludium: Rasch – Gavotte: Etwas langsam, nicht hastig –
Musette: Rascher – Gavotte – Intermezzo –
Minuett: Moderato, Trio – Gigue: Rasch
Klavierstück, op. 33a (1929)
Mässig
Klavierstück, op. 33b (1932)
Mässig langsam
Antonio Politano, flauti dolci
Antonio Politano, flauti dolci
Haesung Choe, violino e violino elettrico
Studio MELOS, regia del suono
Heinz Holliger
Trema (1983) per violino
Paolo Perezzani
nuova opera per flauto Paetzold contrabbasso
Emanuele Pappalardo
nuova opera per flauto dolce, violino e nastro
Luciano Berio
Gesti (1966) per flauto dolce
Horatiu Radulescu
Dr. Kai Hong’s Diamond Mountain (2000) per violino amplificato
Nicola Evangelisti nuova opera
per flauto Paetzold sub-contrabbasso, live electronics e nastro
Luciano Berio
Sequenza VIII (1976) per violino
Gabriele Manca
nuova opera per flauto dolce contralto e violino elettrico
FontanaMIX Ensemble - Farben Ensemble
Lunedì 11 ottobre
FontanaMIX Ensemble
Thuridur Jonsdottir, flauti Giambattista Giocoli, clarinetti Valentino Corvino, violino Corrado Carnevali, viola Antonella Guasti, viola Nicola Baroni, violoncello Stefano Malferrari, pianoforte Nunzio Dicorato, percussione Francesco La Licata, direttore
Francesco Carluccio
Nouba dell’abbandono (2002)
per flauto, clarinetto in la, violino, viola, violoncello e pianoforte
Igor Stravinskij
Piano-Rag-Music (1919) per pianoforte
Michele dall’Ongaro
Quartetto n. 5 (2004) per quartetto d’archi
Igor Stravinskij
Elegia (1944)
per violino
Luca Belcastro
Nero (2004)
per violino, flauto, clarinetto basso, violoncello e pianoforte
Igor Stravinskij
Tango (1940) per pianoforte
Gilberto Cappelli
Blu oltremare (2000)
per flauti, clarinetti, violino, viola, violoncello, pianoforte e percussione
Lunedì 8 novembre
Farben Ensemble
Lavinia Guillari, flauti Marco Ignoti, clarinetto Riccardo Bellini, violino Marco Radaelli, violoncello Marco Lena, pianoforte
Wolfgang Rihm
Chiffre IV (1983/84)
Magnus Lindberg Quintetto dell’estate (1979)
Emanuele Casale
Composizione per 5 strumenti (1998)
Paolo Perezzani
Con slancio (1985)
Hanspeter Kyburz
Danse aveugle (1997)
Venerdì 26 novembre, ore16.00
Seminario
La musica per archi di Giacinto Scelsi
Frances-Marie Uitti
con la partecipazione del Quartetto FontanaMIX
Giacinto Scelsi La scrittura per archi
Scelsi – altra vox populi diffusa – era dedito alla sapienza orientale, e coerentemente dal punto di vista estetico affermava di non essere altro che un canale per la discesa nel sensibile della trascendenza, piuttosto che un creatore. Ma la sua musica, per quanto effettivamente anegoica – come impone un’ascesi che liberi dalla catena delle contingenze – è, seppur non sentimentale, potentemente espressiva. Alla fine di Natura
renovatur per esempio c’è un’irruzione del registro grave, si manifesta il Tremendo: l’espressione è quella di un io che, per quanto non egoico, immerso nel Tutto non può rimanere indifferente. Il pezzo (come pure il IV Quartetto per archi) si conclude enigmaticamente con un subitaneo decrescendo dinamico che svanisce verso l’acuto: il gesto, retoricamente antiintuitivo dopo tanta progressiva intensificazione, conferma che la catastrofe precedente non è un effetto ad uso bassamente emotivo, e simula forse l’attimo della sublimazione verso il trascendente, l’incielamento.
Giacinto Scelsi
La scrittura per archi
Frances-Marie Uitti, violoncello
FontanaMIX Ensemble Valentino Corvino, violino Antonella Guasti, violino Corrado Carnevali, viola Nicola Baroni, violoncello Nunzio Dicorato, percussione
Strumentisti del Laboratorio Scelsi
Francesco La Licata, direttore
Quartetto n. 3 (1963) per quartetto d’archi
I – avec une grande tendresse (dolcissimo)
II – l’appel de l’esprit: dualisme, ambivalence, conflit (drammatico)
III – l’âme se réveille… (con trasparenza)
IV – …et tombe de nouveau dans le pathos mais maintenant avec un pressentiment de la libération (con tristezza)
V – libération, catharsis
Ygghur (1965) per violoncello
Ko-Tha (1967)
I – dalle Tre danze di Shiva
per chitarra sola trattata come strumento a percussione
Riti: I funerali di Carlo Magno (1967)
“Marcia rituale” per violoncello e percussione
Natura renovatur (1967)
per undici archi
Exitime
Ma a qualificare lo spettacolo è il progetto speciale che lo precede. Nel laboratorio strumentale i giovani sono stati guidati dai membri dell’ensemble FontanaMIX e dai tre compositori ospiti, in modo da associare in un unico momento didattico la fase di concertazione e quella di analisi-scomposizione delle opere, e rendere davvero reciprocamente illuminanti i rapporti di discendenza tra i maestri consacrati e i discepoli contemporanei, secondo significative associazioni stabilite per affinità, ma pure oblique, eterogenee.
Lunedì 6
Marie-Luce Erard, mezzosoprano Maurizio Maiorana, voce Angelo Manzotti, sopranista Franco Venturini, pianoforte
Con la partecipazione di strumentisti del
“Laboratorio dedicato alla musica da camera del Novecento”
Francesco La Licata
Aria della Madre, da “L’Angelo e il Golem” (2000) versione per mezzosoprano e pianoforte
Alban Berg
Sonata, op.1 (1907/08) per pianoforte
Francesco La Licata
Cunto, da “L’Angelo e il Golem” (2000) versione per voce e pianoforte
Arnold Schönberg
Lied der Waldtaube, da “Gurrelieder”
(trascrizione del 1912 di Alban Berg) per mezzosoprano e pianoforte
Francesco La Licata
L’Angelo infelice, da “L’Angelo e il Golem” (2000) versione per sopranista e pianoforte
Luciano Berio
O King (1968)
per mezzosoprano e cinque strumenti
Martedì 7
Giambattista Giocoli, clarinetto Antonella Guasti, violino Nicola Baroni, violoncello
Con la partecipazione di strumentisti del
“Laboratorio dedicato alla musica da camera del Novecento”
Igor Stravinskij
Tre pezzi (1914) per clarinetto
Béla Bartók
Duetti (1931) per due violini
György Ligeti
Sonata per violoncello (1948/53)
I – DIALOGO
Adagio, rubato, cantabile
II – CAPRICCIO
Presto con slancio
Atli Ingolfsson
Due bagattelle (1997)
per clarinetto e strumenti in eco
Terry Riley
In C (1964) per ensemble
Giovedì 9
Thuridur Jonsdottir, flauto Stefano Malferrari, pianoforte
Studio MELOS, regia del suono
Con la partecipazione di strumentisti del
“Laboratorio dedicato alla musica da camera del Novecento”
Bruno Maderna
Musica su due dimensioni (1958) per flauto e nastro magnetico
Franco Donatoni
Françoise Variationen, n. 1-7 (1983) per pianoforte
Salvatore Sciarrino
D’un faune (1980) per flauto in sol e pianoforte
Paolo Aralla
Káros, versione per flauto in sol (2003)
per flauto in sol ed elaborazione elettronica dal vivo
Claude Debussy
Prélude à l’après-midi d’un faune (1894) versione da camera
SPAZIO/PRIME FontanaMIX Ensemble
SPAZIO/PRIME
FontanaMIX Ensemble
Thuridur Jonsdottir, flauti
Giambattista Giocoli, clarinetti
Valentino Corvino, violino
Nicola Baroni, violoncello
Stefano Malferrari, pianoforte
Nuove opere di:
Andrea Agostini
Carlo Argelli
Oscar Bianchi
Armando Corridore
Thuridur Jonsdottir
Claudia Leardini
Gioacchino Palma
Scarica la il file pdf